Mi capita spesso girando per i nostri vivai, di vedere, ma vi confesso che qualche tempo fa anche da me era così, immagini come questa:
Sicuramente saprai che uno scaffale così fatto non è adatto alla custodia dei fitofarmaci e, aggiungo senza voler entrare nel merito, che se hai uno scaffale come quello in foto anche tu ti stai accollando una serie i rischi e conseguenti reati in quanto vi è tutta una normativa ben precisa sull’uso e custodia di questi prodotti. Se hai un patentino per utilizzo dei fitofarmaci dovresti conoscerla anche tu.
Ti ricordo solo che le multe in caso di controlli sono salate.
Ma non è solo per questo motivo che bisogna cercare altre soluzioni.
Concorderai che è il motivo più importante è quello relativo alla salute umana in quanto il primo a venire a contatto con queste sostanze quasi sicuramente sei tu.
Ti faccio notare, inoltre, che per aumentare gli utili bisogna contenere e controllare i costi di produzione e i fitofarmaci costituiscono una parte importante di questi costi.
La cosa mi ha riportato alla memoria il periodo in cui un po’ tutti noi avevamo sposato la scuola di produzione olandese che asseriva che ogni cosa andava fatta seguendo un preciso protocollo di trattamenti chimici che andavano impiegati a calendario e che solo grazie a questi era possibile produrre!
Confesso di non aver amato mai troppo tutti questi veleni consapevole, in primo luogo, che la somministrazione deve essere fatta da personale in possesso dello specifico patentino.
Per molti prodotti, poi, il rientro in serra deve essere vietato per un certo numero di giorni.
Bisogna, inoltre, compilare il quaderno di campagna.
Ed è buona norma non trattare nelle ore più calde della giornata.
A seguito di queste considerazioni e altre ancora andava a finire che sempre più spesso mi sono trovato a doverli somministrare di persona.
In realtà e, preferisco ripetermi, non ho mai amato questi prodotti e li ho amati ancora meno quando, guardando le fatture di acquisto, scoprivo che suddetti fitofarmaci costavano cifre spropositate, facendo aumentare anche notevolmente i costi di produzione.
Senza considerare le tante confezioni aperte e utilizzate in parte perché quando scoprivi che il trattamento non aveva funzionato il tecnico o la farmagricola ti ha diceva : “Sai che c’è…? Proviamo quest’altro che è appena uscito anche se che costa un po’ di più “ ed io PAGAVOOO…
Il pensiero che per produrre un fiore o peggio ancora un frutto si debba passare attraverso un uso spropositato di veleni non mi ha mai fatto star bene.
Sapere che stavo utilizzando una sostanza che era stata sintetizzata e non presente in natura e che, oltre ai benefici che apportava sulle mie coltivazioni, veniva immessa nell’ambiente e di li attraverso meccanismi ancora non chiari, andava a finire in quello che noi e soprattutto i nostri figli, mangiamo tutti i giorni, di certo non mi rallegrava.
Sicuramente avrai sentito dire del fantomatico DDT che è stato ritrovato nel grasso degli animali polari, anche se non ricordo bene sia stato ritrovato in foche o balene quando queste in realtà non ne sono mai venute a contatto ma lo hanno assorbito dall’ambiente.
Questo ci fa capire come, quando usiamo un fitofarmaco, immettendolo nell’ambiente, sullo stesso non abbiamo più alcun controllo e non sappiamo minimamente dove vada a finire. Spesso arriva sulle nostre tavole senza che ce ne rendiamo neanche conto..
Da queste considerazioni è nata la voglia, di ridurre drasticamente l’utilizzo dei fitofarmaci ma come fare?
La prima cosa che ho fatto io è stata quella di studiare i cicli di sviluppo dei principali parassiti sia funghi che batteri, così come virus e similari, compresi i loro vettori e anche gli insetti, intesi come vettori di virus e batteriosi (è noto a tutti che la Xylella fastidiosa, ovvero la batteriosi che sta distruggendo gli Ulivi in Puglia, si diffonde attraverso un insetto denominato volgarmente sputacchina) ma anche parassiti in se stessi.
Da queste considerazioni e vedendo che in natura molte piante, che in serra richiedono trattamenti continui, vengono raramente attaccate se non per niente dagli stessi parassiti, oppure vengono attaccate in periodi stagionali molto brevi, periodi con caratteristiche climatiche ben definite e, considerando che il parassita non si sviluppa sulla nostra pianta, o meglio lo fa quando le condizioni ambientali sono tali da consentirne la crescita…
…Ripeto da queste considerazioni è nata l’idea di radicare le mie talee in un ambiente dove le condizioni climatiche, e parlo soprattutto di umidità, fossero il più simile possibile a quelle esterne.
Di sicuro ti starai chiedendo come si possa fare a mantenere viva una talea in un ambiente a bassa umidità.
In realtà me lo sono chiesto anche io per tanto tempo fino a che, dopo vari tentativi e confronti, sono arrivato a capire e a mettere a punto il metodo Elepot® ovvero il primo e unico Metodo messo a punto in ambienti ad alta luminosità.
Il principio su cui si basa questo Metodo è quello della foglia bagnata.
In pratica si crea un ambiente ventilato e ombreggiato in cui, in base alla presenza di sole, vengono spruzzate le foglie con acqua non molto polverizzata. Di conseguenza il substrato in cui si impiantano le talee deve consentirne uno sgrondo veloce e rimanere stabile nel tempo, ed è con queste caratteristiche che produciamo i nostri materiali.
Quindi niente veleni e qualche soldino in più…
Buona radicazione